La lezione attualissima di “Iota unum”

Un testo, quello di Romano Amerio, apparso originariamente negli anni Ottanta e passato attraverso vari editori, una lettura obbligatoria per confrontarsi con gli ultimi decenni, segnati da cambiamenti che nella Chiesa cattolica non hanno paragone, per vastità e impatto, con i secoli precedenti.

di Aurelio Porfiri (17-04-2020)

Ci sono libri che ci fanno bene perché ci aiutano a capire come va il mondo, come interpretare certi fenomeni che altrimenti ci rimarrebbero oscuri. Ecco, se uno vuole comprendere che cosa è accaduto nella Chiesa postconciliare, non può evitare di leggere Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX (Fede & Cultura, con testi di Luigi Negri, Divo Barsotti e Giovanni Cavalcoli) del filosofo e teologo italo-svizzero Romano Amerio (1905-1997). Un testo apparso originariamente negli anni Ottanta e passato attraverso vari editori, una lettura obbligatoria per confrontarsi con gli ultimi decenni, segnati da cambiamenti che nella Chiesa cattolica non hanno paragone, per vastità e impatto, con i secoli precedenti. Non si deve essere d’accordo con ogni cosa detta da Amerio nel libro, ma il suo pensiero, lucido e tagliente non può, anzi non deve, essere evitato.

Monsignor Luigi Negri, che fu allievo di Romano Amerio, dice nell’introduzione:

«La sua cultura è una cultura straordinaria: se Giovanni Paolo II usò per Hans Urs von Balthasar l’espressione “il cristiano più colto del nostro tempo”, credo di non recare offesa ad alcuno ritenendo Amerio uno dei più grandi uomini di cultura italiani del XX secolo. La sua è una cultura sterminata, che abbraccia i campi della teologia, della storia della Chiesa, della storia della filosofia, dell’antropologia culturale, dell’etica sintetizzati nelle lettere classiche».

Per capire il testo di Amerio, il grande don Divo Barsotti presenta una chiave interpretativa, che ritroveremo poi anche nel pensiero di monsignor Antonio Livi:

«Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente ad un generale disordine mentale per cui viene messa la caritas avanti alla veritas, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità. La cristianità, prima che nel suo seno si affermasse il pensiero di Cartesio, aveva sempre proceduto santamente facendo precedere la veritas alla caritas, così come sappiamo che dalla bocca divina del Cristo spira il soffio dello Spirito Santo, e non viceversa».

Questa osservazione del grande Barsotti non è laterale ai problemi enormi che si affrontano oggi, anzi possiamo dire che è una delle chiavi per leggere i cambiamenti.

Il domenicano padre Giovanni Cavalcoli, pur esprimendo alcune riserve su certi punti del testo, ne riconosce l’importanza affermando:

«L’autore giustamente denuncia, dal punto di vista filosofico, la mentalità nominalistico-empirista esistenzialista-storicista come responsabile della cecità nei confronti dell’immutabilità dell’essenza in quanto elemento intellegibile dell’ente, senza per questo escludere l’esistenza di realtà mutevoli. Ma anche l’essenza di queste, in quanto oggetto dell’intelligenza, è immutabile».

Occupandosi della crisi nella Chiesa, Amerio scrive:

«In OR [Osservatore romano, ndr] del 23 luglio 1972, introducendo un’altra analogia poetica, si scrive che gli attuali gemiti della Chiesa non sono i gemiti di un’agonia, ma quelli di un parto, quando sta per venire al mondo un essere nuovo, cioè una nuova Chiesa. Ma può nascere una Chiesa nuova? Qui nell’invoglio di poetiche metafore e nel miscuglio dei concetti, si cela l’idea di cosa impossibile ad avvenire secondo il sistema cattolico, l’idea cioè che il divenire storico della Chiesa possa essere un divenire di fondo, una mutazione sostanziale, un trasferirsi da tutt’altra in tutt’altra. Secondo il sistema cattolico invece il divenire della Chiesa consta di una vicissitudine in cui cangiano le accidentali forme e le storiche congiunture, serbandosi identica e senza novazione la sostanza della religione. La sola novazione che l’ecclesiologia ortodossa conosca è la novazione escatologica con nuova terra e nuovo cielo, cioè la finale ed eterna riordinazione dell’universa creatura, liberata dall’imperfezione, non del limite, ma del peccato, mediante la giustizia delle giustizie nella vita eterna».

E prosegue:

«Ci furono in passato altri schemi in cui questa riordinazione è tenuta come un evento della storia terrena e un’instaurazione del regno dello Spirito Santo, ma tali schemi appartengono alle deviazioni ereticali. La Chiesa diviene, ma non muta. Non si dà in essa novità radicale. Il cielo nuovo e la terra nuova, la nuova Gerusalemme, il cantico nuovo, il nome nuovo di Dio medesimo non sono realtà della storia del mondo, ma del sopramondo. Il tentativo di spingere il Cristianesimo oltre sé stesso fino a “une forme inconnue de religion, une religion que personne ne pouvait imaginer et décrire jusqu’ici”, come non teme di scrivere Teilhard de Chardin, è un paralogismo e un errore religioso. È un paralogismo, perché se la religione cristiana ha da mutarsi da tutt’altro in tutt’altro da sé, diviene impossibile dare alle proposizioni del discorso l’identico soggetto e perisce la continuità tra la presente Chiesa e la futura. È un errore religioso, perché il regno che non si origina da questo mondo conosce mutazioni nel tempo, che è una categoria accidentale, ma non già nella sostanza. Di questa sostanza “iota unum non praeteribit”. Nemmeno uno iota muterà. Teilhard non può preconizzare un andare del Cristianesimo oltre sé stesso, se non perché dimentica che andare oltre sé stesso, cioè passare il limite (ultima linea mors) significa morire e che così il Cristianesimo dovrebbe morire, anzi morire per non morire».

Sono tanti i temi trattati nel libro, dalle crisi nella Chiesa alla vita religiosa, dalla gioventù al Concilio Vaticano II. A questo proposito Amerio dice:

«Che il Vaticano II sia stato il massimo dei Concili per frequenza di Padri, apparati organizzativi e risonanza nell’opinione pubblica è indubitabile, ma queste sono circostanze, non valori di un Concilio».

Insomma, Iota unum è un testo tra i più importanti per capire il nostro passato recente ma anche il nostro futuro prossimo.

DucInAltum

 

“Il Reno si getta nel Tevere” finalmente in italiano

Il Reno si getta nel Tevere. Storia interna del Vaticano II è un’opera molto celebre, apprezzata dagli ambienti tradizionalisti di tutto il mondo. Oggi per la prima volta dal 1967 viene tradotta e pubblicata in italiano. L’Autore fu il padre Ralph M. Wiltgen, sacerdote cattolico, storico e giornalista statunitense morto nel 2002.

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“Iota Unum” & “Stat Veritas” di Romano Amerio

Pubblicato nel 1985, Iota unum è l’opera più complessa e profonda del grande studioso cattolico Romano Amerio, una riflessione serrata e sistematica sul Magistero della Chiesa novecentesca (in particolare conciliare) e, insieme, un’aggiornata summa metafisica cattolica (e il senso ultimo di questa summa, il suo apax, si trova tutto in Stat Veritas).

«In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge (iota unum aut unus apex), senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Non sarà mutato un solo iota, cioè il segno più piccolo dell’alfabeto greco – noi diremmo “non una sola virgola” – dice Cristo nel discorso della montagna (Mt 5, 18-19). E invece, quanto è stato mutato dal Concilio Vaticano II in poi all’interno della Chiesa? Molto, moltissimo, ben più di uno iota: praticamente l’intero alfabeto, a cominciare dall’abolizione (de facto) della lingua latina e dallo stravolgimento (de iure) della liturgia.

Il filosofo italo-svizzero Romano Amerio (1905-1997), che aveva seguito i lavori del Vaticano II per conto del vescovo di Lugano, aveva poi attentamente osservato i mutamenti nella Chiesa, e nel 1985 diede alle stampe un volume imponente : si tratta del monumentale Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, ristampato negli ultimi anni 2000 da ben due case editrici, la Lindau di Torino (2009, €44) e la Fede&Cultura di Verona (2009, €39, ebook €9,99). Questo saggio negli anni ’80 subì una congiura del silenzio. Perché, se la qualità del suo saggio era inattaccabile? Evidentemente perché la sua oggettiva diagnosi risultava troppo spietata nel sottolineare senza mezzi termini – pur nel dovuto rispetto – le responsabilità delle gerarchie ecclesiastiche per l’attuale crisi della Chiesa.

Essa si è infatti trasformata, per usare una terminologia semplice, in ente assistenziale, privilegiando la Carità alla Verità e perdendo il motivo principale del suo primato, il principio ultimo e trascendente, che unifica e ordina tutti i valori secondari del mondo. Carità e Verità: non a caso l’ultima enciclica di papa Benedetto XVI (2009) sottolinea il giusto rapporto tra questi due elementi: Caritas in veritate, la Carità radicata nella Verità, mai separata da questa.

Grazie al magistero di papa Benedetto XVI, che ha ripreso alcuni temi del prof. Amerio (pur nella cosiddetta «ermeneutica della riforma nella continuità»), la figura grande filosofo cattolico torna in auge: lo conferma l’attenzione che la casa editrice Lindau presta alla sua opera, che pubblica assieme a Stat Veritas – cioè la Verità sta, ossia è ferma, solida, irremovibile – seguito e aggiornamento del saggio principale, che analizza e commenta la Lettera apostolica di papa Giovanni Paolo II Tertio Millennio Adveniente scritta nel 1994 in preparazione del giubileo dell’anno 2000, per definire gli orientamenti pastorali per la Chiesa del nuovo millennio.

In Stat Veritas. Seguito a “Iota unum” (2009, €19,50) Romano Amerio contesta all’insegnamento cattolico post-conciliare di aver trascurato la Verità metafisica del Logos divino e di essersi concentrato sul tema della Carità, riducendo la Chiesa a mero soggetto storico, sociale e culturale che si confronta con le varie opzioni filosofiche e morali proposte dalla società moderna: il messaggio cattolico ha così smarrito la sua identità rispetto alle altre religioni e si è dimostrato impotente di fronte al diffondersi, anche all’interno del mondo cristiano, della secolarizzazione e del relativismo.

Va anche segnalata la biografia del filosofo italo-svizzero, intitolata Romano Amerio. Della verità e dell’amore (Marco Editore, Cosenza 2005, €25), redatta dal suo maggiore discepolo e studioso, il prof. Enrico Maria Radaelli (il quale, nell’edizione Lindau di Iota Unum firma un’approfondita post-fazione), che porta la prefazione del grande tomista italiano mons. Antonio Livi, nonché i prestigiosi interventi di Don Divo Barsotti e di due vescovi, i monsignori Mario Oliveri e Antonio Santucci.

Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dal periodico Radici Cristiane.

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Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta

Quella del Vaticano II è una storia mai scritta non tanto perché, come spiega l’autore, si scoprono documenti nuovi (vi è anche questo nel libro, ma non è l’elemento preponderante), o perché si svolga un’approfondita disamina teologica dei testi e delle intenzioni dei padri conciliari, quanto perché si ricostruisce l’evento nella sua storia, dalle lontane radici ideali alla sua preparazione, negli eventi degli anni conciliari fino alle conseguenze (gli anni drammatici dell’immediato post-concilio fino al pontificato di papa Francesco).

Una pietra pesante agitò le acque del mondo cattolico italiano nell’inverno del 2010-2011, creando un forte dibattito, nonché un consistente interesse massmediatico.

Già pochi giorni dopo l’uscita nelle librerie del volume sul Concilio ecumenico Vaticano II del professor Roberto de Mattei, persino testate non cattoliche (il Corriere della Sera, il Giornale, Libero, più volte Il Foglio) ne hanno parlato, ma soprattutto nei siti internet cattolici un vasto dibattito si sviluppò ampiamente.

Ciò, in realtà, è più che normale, visto non solo l’importanza dell’argomento in questione (inutile negarlo: la chiave di volta dell’interesse di ogni cattolico – uso a servirsi della propria intelligenza – di questi ultimi 50-60 anni), ma anche del modo in cui viene trattato, del “taglio”, scelto dall’autore, come si evince dallo stesso titolo: Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau, Torino 2010, pp. 632, € 38,00).

Una storia mai scritta, non tanto, come specifica l’autore, perché si scoprono documenti nuovi (vi è anche questo nel libro, ma non è l’elemento preponderante), o perché si svolga un’approfondita disamina teologica dei testi e delle intenzioni dei padri conciliari, quanto perché si ricostruisce l’evento nella sua storia, dalle lontane radici ideali alla sua preparazione, negli eventi degli anni conciliari fino alle conseguenze.

A cosa sono dovuti allora tanto interesse e anche tanta polemica su questo studio, visto che si tratta in fondo di una rielaborazione storica? Per comprendere ciò, è necessario tenere presente che il XXI concilio ecumenico della Chiesa Cattolica fu diverso dai venti precedenti, avendo una natura meramente “pastorale”, come vollero dichiaratamente i pontefici che lo aprirono e lo chiusero, Giovanni XXIII e Paolo VI (canonizzati rispettivamente nel 2014 e nel 2018 da papa Francesco); il suo scopo essenziale, cioè, non era quello di condannare eresie, né definire alcuna verità di fede, ma consisteva nel rilancio pastorale della fede cristiana in un mondo profondamente modificatosi.

“Nuova Pentecoste” e “segni dei tempi”

Proprio quest’ultimo elemento però è il perno sul quale girano tutte le problematiche conciliari: per stessa dichiarazione dei padri, ripetuta decine di volte in quegli anni, e migliaia e migliaia nei decenni successivi, la Chiesa doveva ormai “aprirsi al mondo”, guardare in faccia senza timore ai “segni dei tempi” e adattarvisi, fare proprie e attuare concretamente quelle istanze di “nuova teologia”, “nuova ermeneutica”, “nuova liturgia” – inseguite ormai da decenni in vari ambiti teologici (e condannate da san Pio X nel 1907 con l’enciclica Pascendi) – e assumere quell’atteggiamento “nuovo” (fatto di sorrisi inchinanti verso gli odiatori della Chiesa e sovente di sorrisi ironici e sprezzanti verso i difensori della sua civiltà e della sua fede bimillenaria), per non rimanere “chiusa” al mondo ma esserne parte integrante e viva.

Insomma, il Vaticano II doveva essere la chiave di volta di una “nuova Pentecoste” da opporre «ai profeti di sventura» (così bollati da papa Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura), i quali ultimi vedevano al contrario senza infingimenti e denunciavano i devastanti mali del mondo contemporaneo, che ben poco di roseo ottimismo potevano suscitare.

In questo senso, chiara fu fin dall’inizio la volontà dei due pontefici di dare un significato innovativo al Concilio, quello appunto della fiduciosa apertura al mondo, in evidente antitesi – occorre dirlo – con tutta la tradizione della Chiesa Cattolica, che ha sempre saputo mantenere ben chiara (in particolare da Gregorio XVI e Pio IX fino a Pio XII), in piena fedeltà all’insegnamento del suo Divino Fondatore e dei grandi Padri e Dottori, la differenza essenziale fra l’amore dovuto al creato e alle creature e l’insensata adesione al mondo. E, in particolare, al nostro mondo, il cosiddetto “mondo moderno”, figlio delle “meraviglie” degli ultimi due secoli, e soprattutto di quelle del XX.

“Aggiornamento” divenne la parola “talismanica”. Scrisse in quei giorni il gesuita progressista John W. O’Malley:

«Nessun concilio prima d’ora ha mai usato l’equivalente di aggiornamento come leitmotiv, come un principio generale più che come rara eccezione, con la conseguenza che per certi aspetti dovrebbe essere la Chiesa a cambiare per incontrare i tempi e non i tempi a cambiare per incontrare la Chiesa» (p. 21).

Questa considerazione si fonda su presupposti teologici di fondamentale importanza (quanto errati se non in certi casi eretici): primo fra tutti, la storicità della Chiesa stessa, che “deve adattarsi ai tempi” (non solo nel senso di “guardare in faccia alla realtà”, come ovvio che sia, ma nel senso di “modificarsi” e “fare propria” questa realtà), quasi si trattasse di un’istituzione politica a scopi umanitari che deve sopravvivere ai vari regimi temporali, e non del Corpo Mistico di Cristo, unico “contenitore” di Verità immutabile e salvezza individuale.

Appare così più chiaro il senso di quel “pastorale”.

L’interpretazione progressista

In tal senso, molti fautori e simpatizzanti del Vaticano II inteso come “innovazione”, come adattamento ai “tempi”, come apertura al mondo – apertura che escludeva ogni condanna, ogni divisione e barriera per accettarlo così come è – hanno messo in risalto, allora come ora, ognuno a suo turno in questi cinquant’anni, il fattore “evento”.

Ciò vuol dire che il Vaticano II stesso non va inteso come qualsiasi concilio precedente, quando la Chiesa “sistemava” definitivamente le sue questioni interne (teologiche, dottrinali, pastorali, disciplinari, ecc.), ma va interpretato alla luce delle sue effettive conseguenze sulla società contemporanea. E, in tal senso, affermano costoro, esso fu anzitutto un “evento” appunto, dirompente, di netta cesura con il passato, di ferma e continua apertura al mondo, con cui occorre “dialogare” (altra parola talismanica conciliare) rifiutando allo stesso tempo qualsiasi spirito missionario di conversione degli infedeli e di coloro che sono a qualsiasi titolo lontani da Gesù Cristo (il dialogo per il dialogo, insomma).

Il “Concilio-evento” è l’interpretazione tipica del progressismo cattolico, che non solo ammira il Concilio Vaticano II, che non solo lo presenta come una sorta di “nuovo punto di partenza” della Chiesa stessa, in contrapposizione netta a tutta la sua esecrata storia precedente, da Pio XII a risalire fino a Costantino e Nicea (la tanto odiata “Chiesa costantiniana”…), e in un del tutto illusorio legame con la “Chiesa primitiva” (altro fantomatico slogan progressista), ma che richiede sempre con maggior insistenza l’indizione di un “Concilio Vaticano III”.

Un nuovo concilio più coraggioso e innovativo, che vada a riempire – stavolta in maniera definitiva – il vuoto lasciato dal pure benemerito e amatissimo Concilio Vaticano II, proprio quello teologico e dottrinale (fine del Primato di Pietro, elezione democratica dei vescovi e del pontefice, sacerdozio femminile, matrimonio libero per il clero, abbattimento di tutte i “muri” dogmatici e teologici che frenano la riunificazione delle Chiese e il dialogo con le altre religioni, apertura piena all’uso degli anticoncezionali – se non dell’aborto – e alle principali istanze bioetiche portate avanti dal mondo laicista e scientista, ecc. ecc.).

Il Vaticano II nel solco della Tradizione

A quest’interpretazione del Vaticano II come rottura con la Tradizione e come evento dirompente in sé, al di là dei suoi aspetti teologici specifici, si contrappose il tentativo – già iniziato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II – di Benedetto XVI di presentare l’insegnamento complessivo del Vaticano II nell’ottica di un’«ermeneutica di riforma nella continuità», vale a dire in una visione di continuità teologica con la precedente millenaria tradizione magisteriale della Chiesa stessa.

Ciò, occorre dirlo, è reso possibile anche dal fatto, noto a tutti gli esperti, che i documenti del Concilio sono più o meno tutti scritti in una maniera appositamente studiata per lasciare spazio a più di un’interpretazione. Come scrive il professor de Mattei a p. 13:

«L’esistenza di una pluralità di ermeneutiche attesta per altro una certa ambiguità o ambivalenza di documenti. Quando si deve ricorrere a un criterio ermeneutico esterno al documento per interpretare il documento stesso, è evidente, infatti, che il documento non è in sé sufficientemente chiaro: ha bisogno di essere interpretato, e, in quanto suscettibile di interpretazione, può essere oggetto di critica, storica e teologica».

Il tentativo di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – porre una barriera definitiva allo slittamento verso l’interpretazione sempre più progressista del Vaticano II e delle sue tesi –  è stato quella di far prevalere l’interpretazione più lineare e consona al tradizionale e immutabile magistero della Chiesa.

Tentativo – nobile e necessario – che pare ormai fallito, guardando al programma del pontificato di papa Francesco che si dirigere sempre di più verso quello del desiderato “Concilio Vaticano III” di cui abbiamo accennato poc’anzi.

Questo perché l’ermeneutica della riforma nella continuità non può nascondere – agli occhi dello storico e di tutti i fedeli – prima di tutto l’ambiguità e l’equivocità dei documenti conciliari, in secondo luogo quanto di fatto realmente avvenne durante il Vaticano II, le cause prossime e remote di quanto avvenne, l’opera dei protagonisti e le loro vere intenzioni, le conseguenze che ancora oggi pesano come macigni soprattutto col pontificato di Francesco.

Fonti e affluenti del fiume in piena del progressismo

Ed è proprio questo – la ricostruzione storica – il lavoro condotto con maestria e puntualità da Roberto de Mattei per più di 600 pagine, rese facilmente leggibili – pur nella notevole mole – da uno stile certamente da storico di professione ma pur sempre vivo e coinvolgente, dalla prima pagina all’ultima.

Il prof. de Mattei ha saputo fornire un quadro storico, teologico e ideale delle cause, dei fatti e delle conseguenze, al punto che alla fine della lettura il lettore attento avrà in mente l’intero insieme logico e cronologico di questa immensa e drammatica avventura delle fede che è stata la teologia del XX secolo.

Egli, agganciandosi ai decenni della diffusione delle eresie del modernismo e alla lotta – purtroppo non sufficiente – condotta dal grande papa san Pio X, inizia l’opera fornendo i legami teologici, ideologici e psicologici della parte progressista dei padri conciliari con la prima generazione degli autori e dei “maestri” del modernismo internazionale (Alfred Loisy, George Tyrrell, Maurice Blondel e l’italiano Ernesto Buonaiuti), coloro che hanno impostato mentalmente e, a volte già concretamente, le ideologie criptomoderniste che poi avranno influenza più o meno determinante sull’andamento del Vaticano II.

Spiega cosa furono e quale influenza ebbero la riscoperta del metodo storico-critico («con cui Erasmo tre secoli prima aveva spianato la strada alla Rivoluzione protestante», p. 41) per l’interpretazione delle fonti, il movimento biblico, il movimento liturgico (l’inizio della democratizzazione della liturgia), il movimento filosofico-teologico con la sua apertura all’immanentismo moderno e contemporaneo, il movimento ecumenico, allora ai suoi primi passi.

Basilare attenzione poi l’autore riserva agli anni del pontificato di Pio XII, quando a formarsi e a entrare in azione è la seconda generazione di modernisti e progressisti, coloro che avranno il peso decisivo sul Vaticano II – ovvero i membri della nouvelle theologie (tra cui ricordiamo il filosofo Jacques Maritain, i teologi domenicani Yves Congar, Dominique Chenu, Edward Schillebeeckx, e i teologici gesuiti Pierre Teilhard de Chardin, Henri de Lubac, Jean Danielou, ma soprattutto Karl Rahner) – maestri e guide dei maggiori protagonisti progressisti del XXI concilio ecumenico.

Il grande scontro fra due visioni della fede e del mondo

Finita la grande premessa, il prof. de Mattei entra nel cuore della battaglia conciliare, spiegando chiaramente e senza false remore l’azione dei due grandi “partiti” – se così si possono definire – che si affrontarono nel Concilio, mettendo continuamente in evidenza come i progressisti, minoritari soprattutto agli inizi, seppero fin da subito prendere l’iniziativa per dirigere gli eventi e influenzare lo stesso Giovanni XXIII, il quale, certo senza grande rammarico, permise loro di divenire i controllori dei “vota”, degli “Schemata”, delle sessioni, della preparazione di ogni sessione, insomma, dell’intero svolgersi del dibattito conciliare.

I padri fedeli alla Tradizione solo a partire dal 1964 riuscirono a organizzarsi, ma – sempre privi di quell’arroganza dei progressisti ora ancor più sostenuta dal nuovo pontefice, Paolo VI – poco poterono fare per frenare i grandi mutamenti in corso.

Il prof. de Mattei riporta molte testimonianze del dolore e dello sconcerto dei padri fedeli alla Tradizione per quanto stava accadendo, e ricostruisce la loro tarda reazione che fu tarda, sì, ma comunque provvidenziale.

Dalla lettura complessiva dell’opera, traspare la piena volontà dei padri progressisti (il cui cuore battente erano alcuni decisivi esponenti del clero brasiliano, francese, tedesco, belga, olandese e anche italiano) – i veri protagonisti del Concilio – di intervenire su tutte le più grandi problematiche teologiche e politiche del tempo, e di intervenire in maniera sempre più innovativa e spesso con spirito di rottura e divisione con la Tradizione della Chiesa: tutto, secondo costoro, andava ridiscusso e “aggiornato”. E se qualcosa venne ribadito nella linea tradizionale, fu solo per la resistenza dei padri fedeli alla Tradizione, che qualche volta riuscì a prevalere.

Il prof. de Mattei dimostra bene, da esperto storico, dati alla mano, come in questo colossale ed epocale “match” giocatosi all’interno di tutta la Chiesa riunita in quel concilio ecumenico, una minoranza attivissima e caparbia ha sempre attaccato per prima e spesso segnato i suoi goal, mentre la grande maggioranza silenziosa, quella dei padri conservatori, confusa, solo in ritardo è riuscita a contrattaccare e frenare alcune fra le pretese più sovversive dei primi.

Tutto, come detto, fu campo di scontro: nuova esegesi biblica, la critica alle fonti della Rivelazione, l’ecumenismo irenistico come fine supremo dei “tempi nuovi”, la riforma liturgica, la creazione delle conferenze episcopali così come le conosciamo oggi, la riforma della Curia romana, la visione minimalista sulla questione mariana (fu bloccata la volontà di molti padri della definizione del dogma della Mediazione universale della Beata Vergine Maria), la guerra al Primato di Pietro, l’opposizione al Santo Uffizio e di contro l’istituzione del principio di collegialità, la questione del rapporto con gli ebrei e con le altre religioni, il principio della libertà religiosa, il mancato riferimento alla dannazione eterna e, soprattutto, la mancata condanna del più grande dei mali presenti in quegli anni, il comunismo (proprio da parte di quel Concilio che si dichiarava “pastorale” e che voleva leggere i “segni dei tempi”) e l’inizio dell’Ostpolitik vaticana, passando per la critica alla Casti Connubi che presupponeva aperture in campo morale (lo stesso Paolo VI sarà poi costretto a porre un freno essenziale alla deriva morale con l’enciclica Humanae Vitae), la modernizzazione della vita religiosa, fino ad arrivare alla deriva post-conciliare (il famigerato catechismo olandese, la teologia della liberazione, l’ecumenismo sfrenato, la spaventosa decadenza morale di parte del clero, l’odio verso la nostra civiltà e tradizione, ecc. ecc.), nonché al Novus Ordo Missae e alla democratizzazione del rito cattolico.

Deriva talmente tragica che spinse lo stesso Paolo VI a parlare di «autodemolizione» della Chiesa e di «fumo di Satana» entrato nelle fessure della Chiesa stessa (superfluo ricordare i devastanti dati statistici sul crollo delle vocazioni religiose, sullo svuotamento delle chiese, sulla perdita delle fede, negli ultimi quaranta anni, per non parlare della decadenza generale di costumi del mondo cattolico).

Un’immensa guerra interna, dove i progressisti, spesso (almeno agli inizi) avvantaggiati dai due pontefici ma soprattutto sostenuti dai mass-media del tempo, provarono il grande colpo sognato da decenni dai più noti teologi modernisti: quello di cambiare la Chiesa, di toccare lo stesso immutabile e sacrosanto Depositum Fidei. E i risultati, oggi, sono davanti agli occhi di tutti…

False “pentecosti”

Insomma, si tratta di un’opera di ricostruzione di una delle pagine più importanti e decisive della storia della Chiesa e dell’umanità intera, di cui tutti noi oggi viventi siamo figli diretti. In piena unione e filiale devozione all’allora pontefice regnante, Benedetto XVI, – come egli stesso dichiara – l’autore offre a ogni cattolico un materiale prezioso e indispensabile per la comprensione di quella crisi della Chiesa che da più di quarant’anni è dinanzi ai nostri occhi e che oggi – col pontificato di papa Francesco – ha raggiunto vortici devastanti e impensabili.

Nessuna “primavera” e nessuna “nuova Pentecoste”, insomma (occorre dirlo, ormai, senza inutili infingimenti). Anzi, il disastro. Non avevano proprio tutti i torti i tanto esecrati profeti di sventura

Questo testo di Massimo Viglione è stato tratto dal periodico Radici Cristiane.

RadioRomaLibera.org

Roberto de Mattei presenta a Siviglia la storia del Vaticano II

Il prof. Roberto de Mattei, ha tenuto a Siviglia una conferenza organizzata da Adelante la Fe per presentare la traduzione spagnola della sua storia del Concilio Vaticano II.

Martedì 13 marzo 2019 — Il 2 marzo il prof. Roberto de Mattei, ha tenuto a Siviglia, presso il Real Círculo de Labradores, una conferenza organizzata da Adelante la Fe per presentare la traduzione spagnola della sua storia del Concilio Vaticano II. L’auditorio di 250 persone era quasi pieno per ascoltare la relazione dell’ospite italiano su Concilio Vaticano II. Una historia nunca escrita. ¿Primavera o tormenta en la Iglesia?

Sono seguite domande e risposte, con una viva partecipazione del pubblico. L’autore ha quindi dedicato alcune copie dei suoi libri. Dopo aver mostrato come ciò che è cambiato nella Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, è il rapporto tra la Chiesa ed il mondo, il prof. de Mattei ha affermato che “l’unica risposta della Chiesa al mondo è la santità, che presuppone l’integrità della dottrina: un Cristianesimo professato e vissuto con integrale coerenza”, ricordando una delle ultime encicliche di Pio XII, la Meminisse del 14 luglio 1958, in cui papa Pacelli concludeva: “Confidate dunque; siate forti e costanti. (…) Nessuno fra di voi diventi disertore. Il vostro battesimo sia come un’arma, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come una completa armatura. Le vostre opere siano i vostri tesori, affinché meritiate una degna mercede”.

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Il primo schema sul matrimonio e sulla famiglia del Concilio Vaticano II

Fra i vari documenti preparatori per il concilio, approvati da Giovanni XXIII nel luglio del 1962 e inviati a tutti i vescovi, c’era anche uno Schema di costituzione dogmatica sulla castità, il matrimonio, la famiglia, la verginità. Tale schema venne però bocciato e riscritto secondo le tesi della teologia progressista, la cosiddetta nouvelle théologie, lontanissima dalle posizioni tradizionali.

«La Rivoluzione del 1968 ebbe certo forte impatto nella Chiesa, oltre che nella società, ma la “svolta conciliare” favorì a sua volta l’esplosione del Sessantotto e ne moltiplicò la forza propulsiva», scrive nell’introduzione il professor Roberto de Mattei al libro eccezionale e propizio (Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II, Edizioni Fiducia, pp. 118, € 10): si tratta della proposizione del testo integrale del documento sulla famiglia e sul matrimonio presentato tra gli schemi preparatori del Concilio Vaticano II.

Fra i vari documenti, approvati da papa Giovanni XXIII nel luglio del 1962 e inviati a tutti i Padri conciliari, c’era anche uno Schema di costituzione dogmatica sulla castità, il matrimonio, la famiglia, la verginità.

Tale schema – come altri, primo fra tutti quello che chiedeva la condanna del comunismo, volutamente ignorato adducendo motivazioni “diplomatiche” – venne però bocciato e riscritto secondo le tesi della teologia progressista, la cosiddetta nouvelle théologie – condannata da papa Pio XII con l’enciclica Humani generis (1950) –, lontanissima dalle posizioni tradizionali.

Il tema della famiglia fu quindi trattato ai paragrafi 47-52 della costituzione pastorale Gaudium et Spes, documento equivoco: negli anni post-conciliari, fu letto ed interpretato in maniera soggettiva e relativista, contraria alla morale tradizionale.

Che già all’interno del Vaticano II ci fosse una “lobby” modernista contraria alla morale tradizionale fu evidente quando, all’indomani della pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae di papa Paolo VI, oltre 200 teologi firmarono sul New York Times un appello, che invitava tutti i cattolici a disubbidire all’enciclica pontificia.

Un gruppo di protagonisti del Concilio contrari all’enciclica si riunì a porte chiuse nella città di Essen, in Germania, per stabilire una strategia di opposizione al documento pontificio, peraltro ampiamente disatteso, se non addirittura rigettato con acrimonia, da interi episcopati.

Il risultato di quell’incontro fu che la dottrina dell’Humanae vitae non venne seguita: nelle università e nei seminari i testi di studio divennero quelli del redentorista tedesco Bernhard Häring (1912-1988), considerato il “padre” della moderna – modernista – teologia morale; purtroppo pure papa Francesco l’ha lodato nel suo discorso alla XXXVI Congregazione Generale della Compagnia di Gesù.

I novelli moralisti sostituivano all’oggettività della legge naturale la “persona”, svincolata da ogni impegno normativo, imbevuta di immanentismo e dipendente dalle circostanze storiche, sociali e culturali; insomma, dall’«etica della situazione» (p. 27), condannata anche da papa Giovanni Paolo II con l’enciclica Veritatis Splendor (1993).

Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dal periodico Radici Cristiane.

FONTE: RadioRomaLibera.org

Depositum Custodi

Lo schema di Costituzione dogmatica sulla salvaguardia dell’integrità del Deposito della Fede rigettato dai vescovi e dai periti progressisti al Vaticano II.

Il De deposito fidei pure custodiendo è uno dei sette schemi del Concilio Vaticano II approvati nel luglio 1962 da papa Giovanni XXIII, ma mai portati in aula. L’abbandono di questi schemi che, secondo il regolamento, avrebbero dovuto costituire la base della discussione, segnò una svolta capitale nella storia del Concilio Vaticano II.

Il Concilio ritenne più urgente presentare in modo nuovo la fede della Chiesa, piuttosto che riaffermarla con chiarezza contro gli errori che ad essa si opponevano.

I testi promulgati vollero avere una portata “pastorale” e non dottrinale, ma la conseguenza, negli anni successivi al Concilio, fu l’oscuramento della dottrina della fede, fino al punto che Benedetto XVI, nel 2012, un anno prima delle sue dimissioni, affermò che «in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi».

Lo schema di Costituzione dogmatica sulla salvaguardia dell’integrità del Deposito della Fede, intravedendo la crisi incombente, considerava necessario ed urgente il ritrovamento dell’insegnamento tradizionale della Chiesa e la condanna degli errori ad esso contrapposti e si apriva ricordando le parole di san Paolo al suo discepolo Timoteo:

«Custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede» (1Tm 6, 20-21).

Per questo, pur non essendo mai stato promulgato, lo schema sul Deposito della Fede costituisce un documento del Concilio Vaticano II, che conserva oggi tutta la sua forza e attualità e merita di essere riletto e approfondito. Il testo integrale (Depositum Custodi. Schema di Costituzione dogmatica sulla salvaguardia dell’integrità del Deposito della Fede, Edizioni Fiducia, Roma 2017, p. 148, € 10), in latino viene presentato per la prima volta con una traduzione italiana, a fronte, preceduto da un’introduzione del prof. Roberto de Mattei.

Questo testo di Gianandrea de Antonellis è stato tratto dal periodico Radici Cristiane.

FONTE: RadioRomaLibera.org

Video. Aspectos del Concilio que se dieron y no se dijeron

Conferencia impartida por el historiador y escritor italiano Roberto De Mattei sobre su última obra titulada “CONCILIO VATICANO II: UNA HISTORIA NUNCA ESCRITA” donde desentraña aspectos del concilio que se dieron y no se dijeron. Madrid, 27 septiembre 2018.

Il primo schema sul matrimonio del Concilio Vaticano II

Fra gli schemi preparatori del Vaticano II, approvati da Giovanni XXIII nel luglio del 1962 e inviati a tutti i Padri conciliari, c’era anche uno Schema di costituzione dogmatica sulla castità, il matrimonio, la famiglia, la verginità. Ma questo Schema venne bocciato e riscritto secondo le tesi della teologia progressista, la cosiddetta Nouvelle théologie, ossia quella teologia mondana che oggi impera e tenta, a porte chiuse, di escogitare sofisticati sistemi speculativi per offendere la teologia rispettosa delle leggi divine.

di Cristina Siccardi (27-05-2015)

Lunedì 25 maggio si è svolta, a porte chiuse, una riunione ristretta fra cardinali e vescovi europei per discutere l’accoglienza dei divorziati risposati e degli omosessuali nella Chiesa; infatti, per alcuni pastori, i peccati mortali hanno oggi diritto di asilo (per i peccatori, ai quali è richiesta consapevolezza e pentimento della propria colpa, la Chiesa ha sempre avuto misericordia). Tedeschi, svizzeri e francesi, dunque, hanno unito le forze per organizzare, in segreto, presso la sede universitaria dei Gesuiti dell’Università Gregoriana di Roma, una giornata di studio sui temi scottanti del prossimo Sinodo sulla famiglia.

L’assedio è massiccio, tuttavia è massiccia la fede di chi, a tutti i costi, resiste per difendere gli insegnamenti di Dio, l’unico ad avere autorità insindacabile, prima e ultima, in materia di matrimonio e di famiglia: Dio ha creato l’uomo e la donna, Dio ha creato l’istituzione familiare. Non altri.

Il 1968 fu l’anno della Rivoluzione della Sorbona a Parigi. Una rivoluzione culturale che avviò, a catena, uno sconvolgimento morale e di costumi nella società occidentale, ancora cristiana. Il delicato ed intimo tema della sessualità veniva sbandierato in piazza, rendendo la questione infima e volgare, snaturandola dei suoi connotati più profondi e più nobili: alla verginità e alla castità, alla continenza e alla temperanza, all’autocontrollo e al dominio di sé, venivano opposti e inneggiati l’impudicizia, la fornicazione, la dissolutezza, la lascivia, la libidine, la lussuria. I vizi capitali venivano portati in auge, irridendo alle virtù, amiche della felicità umana e cristiana.

Il 1968 fu anticipato da un capovolgimento di vedute pastorali, il quale prese le mosse dal Concilio Vaticano II. «La Rivoluzione del 1968 ebbe certo forte impatto nella Chiesa, oltre che nella società, ma la “svolta conciliare” favorì a sua volta l’esplosione del Sessantotto e ne moltiplicò la forza propulsiva», scrive nell’introduzione il professor Roberto de Mattei al libro eccezionale e propizio, uscito in Italia in questi giorni: Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II (Edizioni Fiducia, pp. 118, € 10.00).

Ci auguriamo che il contenuto di questo testo, presentato integralmente, possa essere diffuso il più possibile e trovi riscontri anche all’estero, perché è in grado di riproporre in maniera ineccepibile gli insegnamenti autenticamente cattolici, gli unici a liberare le persone da confusioni, errori e peccati schiavizzanti. Fra gli schemi preparatori del Vaticano II, approvati da Giovanni XXIII nel luglio del 1962 e inviati a tutti i Padri conciliari, c’era anche uno Schema di costituzione dogmatica sulla castità, il matrimonio, la famiglia, la verginità.

Ma questo Schema venne bocciato e riscritto secondo le tesi della teologia progressista, la cosiddetta Nouvelle théologie, ossia quella teologia mondana che oggi impera e tenta, a porte chiuse, di escogitare sofisticati sistemi speculativi per offendere la teologia rispettosa delle leggi divine. La costituzione pastorale Gaudium et Spes, documento equivoco, trattò il tema della famiglia solo ai paragrafi 47-52, che negli anni postconciliari furono letti ed interpretati in maniera soggettiva e relativista, contraria alla morale tradizionale. Molti temi allora discussi sono tornati alla luce.

Chi parteciperà al Sinodo del prossimo ottobre non potrà non tenere conto di questo Schema, all’epoca “improvvidamente abbandonato”, in quanto «un Sinodo che parlando della famiglia taccia sulla legge naturale, ignori il fine primario del matrimonio, stenda un velo di silenzio sul peccato e non metta in risalto il valore della castità dentro e fuori il matrimonio, è destinato al fallimento pastorale e alla distruzione della fede e della morale cattolica» (p. 31).

Il 30 luglio 1968 il New York Times pubblicò, con il titolo Contro l’enciclica di Papa Paolo, un appello, firmato da oltre duecento teologi, che invitava tutti i cattolici a disubbidire all’Humanae vitae di Paolo VI, che venne rigettata con acrimonia da interi episcopati. Un gruppo di protagonisti del Concilio contrari all’enciclica, fra i quali i cardinali Suenens, Alfrink, Heenan, Döpfner, Köning, si riunì, a porte chiuse, nella città di Essen per stabilire una strategia di opposizione al documento pontificio.

Risultato di quell’incontro? La dottrina dell’Humanae vitae non venne seguita, ma furono concretizzate le indicazioni del Cardinale Suenens e dei suoi sostenitori. Nelle università e nei seminari i testi di studio divennero quelli di padre Häring, considerato il padre della moderna teologia morale. I novelli moralisti sostituivano alla oggettività della legge naturale la «persona», svincolata da ogni impegno normativo, imbevuta di immanentismo e dipendente dalle circostanze storiche, sociali e culturali; insomma, dall’«etica della situazione» (p. 27).

Appagare gli appetiti istintuali e licenziosi, renderli benemeriti e leciti è il disegno architettato da governi privi di senso religioso, favorevoli al sesso libero e sfrenato, capace di rendere le persone più fragili, più vulnerabili e, dunque, più manipolabili. Disciplinare e regolare quegli appetiti è il compito che la Chiesa è tenuta ad ottemperare per dare ragione della sua esistenza e per raggiungere il suo primario obiettivo, la salus animarum.

Lo Schema di costituzione dogmatica sulla castità, il matrimonio, la famiglia, la verginità è un vero e proprio capolavoro ed è specchio dell’obiettivo, la salus animarum, ma anche di un vivere sociale ed etico rispettoso di tutti perché regolato con giudizio, esperienza plurimillenaria e con carità (sinonimo di amore).

Lo Schema è altresì specchio delle Sacre Scritture. Perché esistono l’uomo e la donna? Perché esiste un solo concetto di famiglia? Perché è necessaria la castità? Qual è il valore del sacramento matrimoniale e quale quello della verginità? Dalla prima parte alla terza dello Schema in questione troviamo esaustivamente le risposte per ritornare alle fonti, non quelle sessantottine, ma quelle divine. Infatti Dio disse: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Gn 1, 26-28).

Il Paradiso terrestre ebbe fine con l’assenso alla prima tentazione di Satana alla donna e all’uomo. Da allora non ha più cessato di adescare e sedurre. «Et Verbum caro factum est. Et habitavit in nobis» («E il Verbo si fece carne. E venne ad abitare in mezzo a noi»), nonostante ciò gli uomini, compresi i teologi, continuano a cedere al grande tentatore, seminando la pula, invece del chicco di grano.

FONTE: corrispondenzaromana.it

Il Vaticano II. Un Concilio pastorale

L’ultima opera pubblicata del teologo Padre Serafino Lanzetta F.I. è un vero e proprio chef-d’œuvre, un capolavoro che arricchisce, con tasselli nuovi e argomentazioni convincenti, gli approfondimenti che da diversi anni vanno sviluppandosi, con sempre maggiore intensità e determinazione speculativa, su quell’evento che ha prodotto un vero e proprio sisma nella Chiesa, riconosciuto tale anche da coloro che ne tessono le lodi per le novità introdotte: il Concilio Vaticano II.

di Cristina Siccardi (02-07-2014)

L’ultima opera pubblicata del teologo Padre Serafino Lanzetta F.I. è un vero e proprio chef-d’œuvre, un capolavoro che arricchisce, con tasselli nuovi e argomentazioni convincenti, gli approfondimenti che da diversi anni vanno sviluppandosi, con sempre maggiore intensità e determinazione speculativa, su quell’evento che ha prodotto un vero e proprio sisma nella Chiesa, riconosciuto tale anche da coloro che ne tessono le lodi per le novità introdotte: il Concilio Vaticano II.

Ma quelle novità furono soltanto pastorali oppure anche dottrinali? La Fede è ancora quella dei nostri padri, annunciata da Cristo, da San Pietro, da San Paolo, tramandata di Dottore in Dottore della Chiesa, di Concilio in Concilio… oppure è cambiata? Ecco che il laborioso impegno del raffinato teologo Padre Lanzetta viene in soccorso in questi tempi tanto confusi quanto sovvertitori. «Lo studio di P. Lanzetta fornisce un approccio di grande respiro, attento alle fonti storiche e alle varie proposte d’interpretazione negli ultimi decenni. (…) è una trattazione brillante del tema scelto. L’autore conosce bene la discussione temporanea e le fonti del Vaticano II. La tesi porta un contributo originale nuovo sia dal punto di vista storico (…) sia dal lato della riflessione sistematica. L’autore non si accontenta di presentare le varie posizioni (ciò avviene in maniera precisa), ma fa anche delle proposte chiarificatrici che possono illuminare il dibattito attuale. Vengono toccati dei temi centrali (la discussione sulle fonti della Rivelazione, l’ecclesiologia, la mariologia, l’ermeneutica delle affermazioni magisteriali…). Tutti i vari aspetti sono finalizzati a capire meglio il significato e la portata della dottrina conciliare», così scrive il Professor Don Manfred Hauke dell’Università di Lugano nella sua presentazione del volume Il Vaticano II. Un Concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, edito in questi giorni da Cantagalli (pp. 490, € 25.00).

Il libro nasce come tesi di abilitazione alla libera docenza, conseguita da Padre Lanzetta alla Facoltà Teologica di Lugano, in Svizzera, presso la quale l’autore diede inizio al suo poderoso lavoro di ricerca nel maggio 2011, sotto la direzione dello stesso Hauke. Fra la documentazione emersa negli archivi si trova un importante intervento di Paolo VI sulla Dei Verbum, così come dalla consultazione all’Archivio Segreto Vaticano Lanzetta ha trovato un prezioso carteggio con il Cardinale Ottaviani dove emerge la preoccupazione di Papa Montini per l’imminente approvazione del De Divina Revelatione, manifestando l’esplicito desiderio di sottolineare il ruolo della Tradizione costitutiva della Fede (p. 245).

Lo stesso Paolo VI, l’8 dicembre 1966, ad un anno dalla chiusura del Vaticano II, in un discorso che ricorda quello che pronuncerà alla Curia romana, 39 anni più tardi, Benedetto XVI (22 dicembre 2005) condannò chi presentava il Vaticano II come «una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico nuove ed intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del mondo; ciò non sarebbe conforme alla definizione storica e allo spirito autentico del Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni XXIII. Il Concilio tanto vale quanto continua la vita della Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la inventa; ma la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la “aggiorna”».

Il problema, dunque, era emerso fin da allora: il dubbio serpeggiava ovunque, si era interrotto qualcosa nella trasmissione della Fede? L’auspicio di Paolo VI sopra esposto non poteva avverarsi poiché le ambiguità interne ai documenti conciliari e le linee pastorali degli “aggiornamenti”, che per forza di cose hanno influito sulla dottrina stessa, portando la prassi del mondo (cultura e mentalità) dentro la prassi ecclesiale e catechetica, non potevano essere soffocate e continuano a reclamare risposte. Lo stesso processo metodologico con cui si è tenuto il Concilio, fin dal suo esordio, provoca non soltanto perplessità, ma critiche storiche e teologiche facilmente identificabili se si conoscono i fatti, quelli che, grazie a studiosi come Lanzetta, oggi possono essere di pubblico dominio.

Con scrupolo metodologico ed epistemologico viene illustrato il rapporto Scrittura-Tradizione nella Dei Verbum: l’autore parte dal primo schema De fontibus per approdare alla promulgazione della Costituzione sulla Divina Rivelazione. Nessun passaggio viene omesso: si parte dalla preparazione del Concilio, passando attraverso il grande esame teologico delle Commissioni e delle Sottocommissioni, per arrivare allo svolgimento dei lavori conciliari fino alle decisioni definitive, che in molte occasioni contrastano con i lavori preparatori.

I cattolici che continuano a vivere secondo la Tradizione della Chiesa e la Fede dei loro padri non si riconoscono più in quegli «aggiornamenti» che hanno di fatto mutato il volto della Chiesa. «Cosa veramente voleva dire il Vaticano II? Cosa ha rappresentato? Uno “spirito del Concilio”, molto spesso confuso con lo spirito del mondo, prese il sopravvento, e i testi magisteriali furono semplicemente tralasciati per fare spazio ad una “primavera” costruita a tavolino da alcuni esperti della pastorale. Si agitava la questione del Concilio come “un tutto” per la fede, come nuova stagione per la Chiesa, come via di non ritorno, dal lato opposto, lo si presentava come un incidente di percorso, un errore di valutazione. Per molti una partenza. Per altri un arresto. Cos’è l’ultimo Concilio per la Chiesa? La domanda divide la Chiesa forse come non mai prima» (p. 26).

Padre Lanzetta, in definitiva, ha interrogato il Concilio, volendo scoprire soprattutto la sua mens, una mens che poi determinò le scelte e le decisioni e dai risultati raccolti emerge che non sempre è chiaramente distinto il campo pastorale da quello dottrinale «per il semplice fatto che non si dà né una definizione dell’uno né dell’altro, ma spesso, i due lemmi impiegati nella loro accezione tradizionale, servono ora a confermare la sana teologia, ora a lasciare ancora il dato dottrinale alla teologia, ora a provocare uno sviluppo che necessariamente coinvolge la fede e la sua dottrina» (p. 32).

Ciò che accadde in San Pietro fra il 1962 e il 1965 viene sempre più, teologicamente e storicamente, reso noto, perché la Chiesa appartiene a Cristo, che è la Verità e la Verità appartiene a Dio. Nella Lettera agli Ebrei San Paolo dichiara: «Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 13).

FONTE: corrispondenzaromana.it