Il cambio di paradigma dal Vaticano II a Francesco. Conferenza di José Antonio Ureta

Il prof. José Antonio Ureta, membro della TFP, nonché autore del libro Il cambio di paradigma di Papa Francesco, in questa conferenza spiega in cosa consiste il cambio di paradigma di Papa Francesco e il fatto che non avrebbe mai potuto farlo se non ci fosse stato il Concilio Vaticano II.

Ringrazio Cooperatores Veritatis per l’invito a parlare virtualmente con questo pubblico così distinto e anche tutti voi per la vostra partecipazione.

Il tema che mi stato impartito è Il cambio di paradigma di Papa Francesco e il Vaticano II.

L’espressione Paradigm shift fu resa popolare da Thomas Khun, fisico, storico e filosofo americano della scienza, e trasmette l’idea secondo cui la conoscenza umana non progredisce in modo lineare e continuo ma subisce periodiche rivoluzioni che rendono improvvisamente obsolete tutte le credenze precedenti.

Papa Francesco l’ha usato nella Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium sull’insegnamento universitario cattolico, dove ha chiesto “l’impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – mi permetto di dire – verso ‘una coraggiosa rivoluzione culturale’”.

Anche altri alti prelati a lui vicini hanno usato l’espressione, sempre in senso ideologicamente marcato. Il Cardinal Blase Cupich, ad esempio, ha tenuto una conferenza nel Regno Unito, intitolata appunto: “La Rivoluzione della Misericordia di Papa Francesco: Amoris Laetitia come nuovo paradigma della cattolicità”.

Nel suo discorso, il cardinale arcivescovo di Chicago sosteneva la necessità di “niente meno che un rivoluzionario” cambiamento di paradigma nel rapporto tra dottrina morale e prassi pastorale. Questo “cambiamento” consiste soprattutto nell’invertire l’ordine delle cose: la dottrina e il diritto devono essere subordinati alla vita, così come l’uomo contemporaneo la vive. La Chiesa non dovrebbe insegnare, ma imparare dalla realtà sociale. La Chiesa dovrebbe accompagnare le persone nelle loro diverse “situazioni”, senza cercare di imporre loro “un insieme astratto di verità”. Egli afferma che il cambiamento di paradigma consiste anche nel comprendere che Dio è presente e si rivela persino in “situazioni” peccaminose come l’amore tra divorziate risposati.

Papa Francesco, nel controverso n. 303 di Amoris Laetitia, arriva al punto di affermare che un divorziato civilmente risposato può concludere in piena coscienza che rimanere nel suo rapporto adultero, praticando gli atti intimi riservati agli sposi, è il meglio che può fare nella sua situazione ed è ciò che per ora Dio può volere da lui.

Il vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni, in una nota pastorale sui divorziati, ne ha tratto la conclusione naturale per cui “i singoli atti coniugali” tra divorziati risposati (chiama atti coniugali quelli tra due persone che non sono coniugi!), “restano un ‘disordine oggettivo’, ma non sono necessariamente ‘peccato grave’ che impedisce di accogliere in pienezza la vita della grazia”.

A sua volta, in un cosiddetto Approfondimento di Teologia Morale, il moralista della diocesi, mons. Angelo Riva, è andato oltre, dichiarando categoricamente che tali rapporti adulteri “non sono peccati, sono atti buoni della vita coniugale”.

Come il noto filosofo austriaco Josef Seifert ha opportunamente segnalato, se il n° 303 di Amoris Laetitia vale per l’adulterio, non vi è alcuna ragione per cui non debba valere anche per l’aborto, il furto, la calunnia o qualsiasi altro atto intrinsecamente cattivo. Difatti, i vescovi delle province marittime del Canada hanno applicato Amoris Laetitia al suicidio, autorizzando gli ultimi sacramenti e la sepoltura cattolica per coloro che chiedono l’eutanasia.

Quale è il fondamento teologico di questo smantellamento così radicale della morale in nome di un nuovo paradigma pastorale? La risposta può essere una sola: c’è stato un “cambio di paradigma” nella Teologia fondamentale.

La Rivelazione divina non viene più considerata come una comunicazione esterna di verità rivelate ricevute attraverso le nostre orecchie – fides ex auditu, dice san Paolo nella sua epistola ai Romani (10, 17) – una comunicazione a cui la nostra ragione deve dare il suo assenso, ma piuttosto una auto-comunicazione diretta di Dio all’anima, una sorta d’illuminazione interiore, in mezzo alle esperienze di vita di ogni persona. Un’auto-comunicazione di Dio che in realtà si estende oltre i confini dell’unica vera Chiesa di Cristo e raggiunge persino i seguaci di religioni non cristiane e anche gli atei, i “cristiani anonimi” di Karl Rahner.

Come ha spiegato papa Francesco al suo confratello gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica: “La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte”. Questo nuovo concetto di Rivelazione implica, da parte della Chiesa, “un atteggiamento di ascolto e discernimento di tutto ciò che lo Spirito muove nella coscienza della gente di Dio”, come ha scritto papa Francesco nella prefazione al primo volume delle opere del cardinale Martini.

Papa Francesco ha sviluppato ulteriormente questa concezione evolutiva della Divina Rivelazione per giustificare la riscrittura del Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo alla pena di morte, dicendo:

“Solo una visione parziale considera il ‘deposito di fede’ come qualcosa di statico. La parola di Dio non può essere messa in disarmo come una vecchia coperta nel tentativo di tenere a bada gli insetti! No. La parola di Dio è una realtà dinamica e vivente che si sviluppa e cresce perché è finalizzata a una realizzazione che nessuno può fermare. . . Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo”.

Secondo lui, la pena di morte dove esse bandita dappertutto perché sarebbe contraria alla nuova comprensione della dignità umana e ad una migliore consapevolezza del carattere riabilitativo delle pene. Come ben sappiamo, molti passaggi della Scrittura insegnano la legittimità della pena capitale e i Padri della Chiesa compresero che tali passaggi la ammettono. Inoltre, la Chiesa ha coerentemente seguito per duemila anni questa interpretazione, considerando la legittimità della pena capitale come una dottrina divinamente rivelata.

Qui abbiamo un caso tangibile in cui il “cambio di paradigma” rappresenta un cambiamento dottrinale nella comprensione di un aspetto della nostra fede cattolica.

Il rischio di assistere ad altri tentativi di papa Francesco di cambiare la dottrina cattolica è apparso più imminente dopo la pubblicazione di un articolo, il 31 luglio 2018, a firma di P. Thomas Rosica, un sacerdote canadese, portavoce ufficiale per la lingua inglese negli eventi importanti come i Sinodi, e uno dei principali membri della cerchia ristretta di Francesco. Padre Rosica ha scritto:

“Papa Francesco rompe le tradizioni cattoliche quando vuole, perché è ‘libero da attaccamenti disordinati’. La nostra Chiesa è effettivamente entrata in una nuova fase: con l’avvento di questo primo Papa gesuita, è apertamente governata da un individuo piuttosto che dall’autorità della sola Scrittura o persino dai dettami della tradizione più la Scrittura”.

Nella mente di padre Rosica, il Papa non è il Vicario di Cristo, ma piuttosto il suo successore, perché è libero da un ‘attaccamento disordinato’ agli insegnamenti di Cristo e, quindi, ha il pieno diritto di cambiarli a piacimento. Con Francesco, la roccia di Pietro si è evoluta diventando una duna di sabbia mobile al vento della storia mondana…

Questa tesi si contrappone in modo frontale a ciò che la Costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I insegna espressamente sull’infallibilità papale:

“Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli”.

Un altro cambiamento de paradigma dottrinario è stato quello riguardante all’unione civile tra persone omosessuale che ha fatto recentemente tanto scalpore, ma che Papa Bergoglio riteneva come accettabile da quando era arcivescovo di Buenos Aires. Più importante ancora è il cambiamento di paradigma riguardante all’unicità della Chiesa Cattolica, negata dalla Dichiarazione d’Abu Dhabi nell’affermare che il pluralismo e la diversità di religione è voluta da Dio come la diversità di sesso, di razza o di lingua.

Il mio libro Il Cambio di Paradigma di Papa Francesco: Continuità o Rottura nella Missione della Chiesa? cerca di stilare un elenco delle posizioni di Papa Francesco che rivelano un cambio di paradigma in relazione all’insegnamento perenne della Chiesa, ma solo nelle questioni che hanno lasciato più sconcertati i cattolici comuni, tale che:

• L’abbandono della difesa dei “valori non negoziabili”;
• La promozione dei cosiddetti “movimenti sociali” d’ispirazione marxista;
• La promozione dell’agenda “verde” e di una mistica ambigua verso la “Madre Terra”, come abbiamo visto più tarde nel culto alla Pachamama durante il Sinodo per la Amazonia;
• Il favoreggiamento dell’immigrazione e dell’Islam.

In un capitolo riassuntivo, il libro mostra che il filo rosso del cambio di paradigma di Francesco e la ragione della simpatia che riceve dai poteri di questo mondo è il desiderio di adattare la Chiesa alla modernità rivoluzionaria e anticristiana. Ma questo è stato anche il desiderio implicito del Concilio Vaticano II sotto pretesto di aggiornamento.

Il Papa Francesco ha ripreso il commentario di Cardinale Martini secondo il quale la Chiesa sarebbe in ritardo di 200 anni riguardo al mondo, particolarmente in matteria di sessualità dove tiene un messaggio incomprensibile per gli uomini di oggi, dovendo pertanto aggiornare la sua dottrina su la contraccezione, il divorzio, l’aborto, ecc. In questo senso, la Chiesa dovrebbe completare il lavoro iniziato al Concilio.

E bene, tutti i progressisti vedono il pontificato di Papa Francesco come la realizzazione di questo programma. È interessante la testimonianza del vescovo emerito di Ivrea, Mons Luigi Bettazzi, ultimo padre conciliare italiano vivente, colui che dai media negli anni Settanta veniva chiamato il “vescovo rosso” per il suo dialogo con il PCI di Enrico Berlinguer: “Con l’elezione di Bergoglio ho visto il coronamento programmatico del Concilio a cui ho partecipato”.

“Papa Francesco è il primo papa che non ha partecipato al concilio Vaticano II”, commenta Don Piero Coda, docente presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano e membro della Commissione teologica internazionale. “L’insegnamento conciliare scorre nelle sue vene, illumina i suoi pensieri, accende i suoi sogni, ispira le sue decisioni. In altri termini, non vi è più per lui conflitto d’interpretazioni… nell’interpretazione dell’ultimo Concilio»

Riguardo questo problema d’interpretazione giusta del Concilio, Massimo Faggioli, cattedratico dalla Villanova University nelle State Uniti, aggiunge: “Francesco ha portato la questione Vaticano II dal livello del dibattito sulle ermeneutiche al livello della necessità di applicare il Concilio. […] Francesco ha recepito il Vaticano II pienamente, in fedeltà ma anche grande libertà, sia da prete che da vescovo e da Papa. Non si trova mai in Francesco la paura dello “spirito del Vaticano II” né la nostalgia dell’epoca pre-conciliare. […] Il Concilio … ha generato Francesco. […] E così il figlio del Concilio, Francesco, deve ora prendersi cura del padre Vaticano II, e ne diventa in qualche modo responsabile”

Andrea Grillo, laico docente di liturgia preso il Pontificio Ateneo Santo Anselmo di Roma, dichiara: “Io ritengo che Francesco, a differenza di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, riprenda poderosamente la continuità con il Concilio Vaticano II, che per i predecessori era diventato progressivamente un tabù imbarazzante. Dunque l’elemento di discontinuità [trai i pontificati] non è affatto ‘assoluto’, ma deve essere compreso in rapporto al Concilio Vaticano II: Francesco, riprendendo lo spirito e la lettera del Concilio, entra in tensione con il “dispositivo-Ratzinger”, che da 30 anni dominava nella chiesa cattolica […] Io non voglio affatto una ‘discontinuità assoluta’, voglio solo salvaguardare quella continuità con il Concilio Vaticano II, che esige riforme e discontinuità assai audaci, al servizio della continuità”.

Questa esigenza di discontinuità per salvaguardare la continuità con il Vaticano II è sostenuta anche per la sua collega biblista nel Santo Anselmo, Marinella Perroni: “Francesco sa molto bene che, mai, elementi di continuità con il passato possono impedire fermenti di discontinuità che preparano il futuro e non si lascia quindi intrappolare nella contrapposizione tra ermeneutica della continuità ed ermeneutica della rottura”.

Il proprio Papa Francesco riprende questa interpretazione del suo atteggiamento. Nel corso di un colloquio, Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, gli ha fatto notare: «Lei non parla molto del Concilio». Risposta del papa: «Il Concilio bisogna farlo, più che parlarne».

E nell’intervista concessa a La Civiltà Cattolica nell’agosto/settembre 2013, al tutto inizio del pontificato, alla domanda di Padre Antonio Spadaro – “Che cosa ha realizzato il concilio Vaticano II? Che cosa è stato?”, Francesco risponde: “Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea […]ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del concilio è assolutamente irreversibile”.

Nel discorso fatto il 29 dicembre 2017 ai membri dell’Associazione teologica italiana, Francesco afferma: “La Chiesa deve sempre riferirsi a quell’evento [il Vaticano II], con il quale ha avuto inizio una nuova tappa dell’evangelizzazione e con cui essa si è assunta la responsabilità di annunciare il Vangelo in un modo nuovo, più consono a un mondo e a una cultura profondamente mutati”.

In un dialogo nei Paesi Baltici con i sui confratelli gesuiti, Papa Francesco ha parlato della necessità di portare avanti il Concilio: “Io credo che il Signore stia chiedendo un cambiamento nella Chiesa. Ho detto tante volte che una perversione della Chiesa oggi è il clericalismo. Ma 50 anni fa lo aveva detto chiaramente il Concilio Vaticano II: la Chiesa è il popolo di Dio. Leggete il numero 12 della Lumen gentium. Sento che il Signore vuole che il Concilio si faccia strada nella Chiesa. Gli storici dicono che perché un Concilio sia applicato ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada. Dunque, se vuoi aiutarmi, agisci in modo da portare avanti il Concilio nella Chiesa”.

Un paso avanti evidente è stato il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza Comune, firmato in Abu Dhabi insieme con il Grande Imam di Al-Azhar. Durante la Conferenza Stampa sul volo di ritorno, il giornalista de La Stampa, Domenica Agasso, ha detto a Francesco che “c’è una parte di cattolici che accusa Lei di farsi strumentalizzare dai musulmani”. Il Papa ha risposto: “Questo lo ribadisco chiaramente: dal punto di vista cattolico il Documento non si è discostato di un millimetro dal Vaticano II. Viene anche citato, alcune volte. Il Documento è stato fatto nello spirito del Vaticano II. […] Se qualcuno si sente a disagio, io lo capisco, non è una cosa di tutti i giorni, e non è un passo indietro, è un passo avanti, ma un passo avanti che viene dopo 50 anni, dal Concilio che deve svilupparsi. Gli storici dicono che perché un Concilio metta radici nella Chiesa ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada”.

Anche l’approvazione caso per caso della comunione ai divorziati risposati è uno sviluppo dal Vaticano II. Non sono io a dirlo, ma il Cardinal Christoph Schònborn in un’intervista alla Civiltà Cattolica. La citazione è lunga ma merita di essere trascritta per capire come non solo Amoris laetitia ma anche la dichiarazioni di Abu Dhabi sulla diversità di religioni sono contenute implicitamente nel Concilio. Dice il Cardinal di Viena:

“All’ultimo Sinodo ho proposto una chiave di lettura che ha suscitato molte discussioni ed è stata ancora ricordata nella Relatio post disceptationem, ma che non è più presente nel documento finale, la Relatio Synodi. Era un’analogia con la chiave di lettura ecclesiologica data dalla Lumen gentium, la costituzione sulla Chiesa, nel suo articolo 8. La domanda in questione è: ‘Dove si trova la Chiesa di Cristo? Dov’è incarnata concretamente? Esiste veramente la Chiesa di Gesù Cristo, da lui voluta e fondata?’. A questo il Concilio ha risposto con la famosa affermazione: ‘L’unica Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica’, subsistit in Ecclesia catholica. Non è una pura e semplice identificazione, come se si dicesse che la Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa cattolica. Lo ha affermato il Concilio: ‘sussiste nella Chiesa cattolica’, unita al Papa e ai vescovi legittimi. Il Concilio aggiunge questa frase, che è divenuta chiave: ‘Ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica’. Le altre confessioni, le altre Chiese, le altre religioni non sono semplicemente il nulla. Il Vaticano II esclude un’ecclesiologia del tutto o niente. Il tutto si realizza nella Chiesa cattolica, ma ci sono elementi di verità e di santificazione anche nelle altre Chiese, e persino nelle altre religioni. Questi elementi sono elementi della Chiesa di Cristo, e per loro natura tendono verso l’unità cattolica e l’unità del genere umano, verso cui tende la Chiesa stessa, anticipazione, per così dire, del grande progetto di Dio che è un’unica famiglia di Dio, l’umanità. In questa chiave si giustifica questo approccio del Concilio, per il quale non si considera dapprima ciò che manca nelle altre Chiese, comunità cristiane o religioni, ma ciò che di positivo esiste. Si colgono i semina Verbi, come si è detto, i semi del Verbo, elementi di verità e di santificazione.

“Ho semplicemente proposto di applicare questa chiave di lettura ecclesiologica alla realtà del sacramento del matrimonio. Poiché il matrimonio è una Chiesa in piccolo, l’ecclesiola, la famiglia come piccola Chiesa, mi sembra legittimo stabilire un’analogia e dire che il sacramento del matrimonio si realizza pienamente là dove giustamente c’è il sacramento tra un uomo e una donna che vivono nella fede ecc. Ma ciò non impedisce che, al di fuori di questa realizzazione piena del sacramento del matrimonio, ci siano elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi.

“Dovremmo guardare le numerose situazioni di convivenza non solo dal punto di vista di ciò che manca, ma anche dal punto di vista di ciò che è già promessa, che è già presente. Peraltro il Concilio aggiunge che, sebbene ci sia sempre reale santità nella Chiesa, tuttavia questa è fatta di peccatori e avanza lungo un cammino di conversione (LG 8). Essa ha sempre bisogno di purificazione. Un cattolico non può porsi su un gradino più alto rispetto agli altri. Ci sono santi in tutte le Chiese cristiane, e persino nelle altre religioni.

“Coloro che hanno la grazia e la gioia di poter vivere il matrimonio sacramentale nella fede, nell’umiltà e nel perdono reciproco, nella fiducia in Dio che agisce quotidianamente nella nostra vita, sanno guardare e discernere in una coppia, in un’unione di fatto, in dei conviventi, gli elementi di vero eroismo, di vera carità, di vero dono reciproco. Anche se dobbiamo dire: ‘Non è ancora una piena realtà del sacramento’. Ma chi siamo noi per giudicare e dire che non esistono in loro elementi di verità e di santificazione?”.

Questi elementi di verità e di santificazione la relatio post disceptationem del Sinodo straordinario sulla famiglia li ha trovati anche nelle coppie omosessuali. Nel n. 20 parla delle convivenze, dei matrimoni civili e dei divorziati risposati, dicendo che “compete alla Chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali” e aggiunge, nel n. 40, che “non è saggio pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del ‘tutto o niente’”. E aggiunge nel n. 52: “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners”.

Il Cardinal Cupich direbbe che Dio è presente e si rivela persino in situazioni peccaminose…

Penso di avere fornito qualche elementi eloquenti per documentare come il cambio di paradigma di Papa Francesco non sia in continuità ma in rottura con la Tradizione della Chiesa e come questa rottura prende in realtà le sue origine nel Concilio Vaticano II, conforme alla domanda che mi stato gentilmente presentata.

Grazie.