La “massima imprudenza” del Vaticano II? Aver rigettato l’enciclica Humani Generis

Pio XII è il papa più citato dai testi del Concilio Vaticano II, eppure il cuore del suo magistero è stato rigettato quando Giovanni XXIII, nell’allocuzione di apertura, ha dato come “ordine dei lavori” fare esattamente l’opposto di ciò che infallibilmente afferma l’enciclica Humani Generis del 1950: abbandonare le condanne dell’errore, ripresentare la Dottrina secondo le istanze moderne, illudersi di potersi riconciliare con i fautori dell’eterodossia. È evidente che Giovanni XXIII volesse che il suo Concilio — e anche Paolo VI — fosse l’evento della grande riconciliazione della Chiesa con la modernità, con le altre religioni e dei cattolici fra loro, per questo volle periti anche i teologi condannati dall’Humani Generis, ma come poteva lo Spirito Santo guidare un Concilio — scrive Robert Morrison nel seguente articolo da noi tradotto — che sosteneva quando condannato infallibilmente pochi anni prima?

L’Humani Generis di Pio XII e la protezione da parte dello Spirito Santo di ciò che Giovanni XXIII ha rifiutato

di Robert Morrison (18 luglio 2023)

«Lo Spirito Santo non sempre impedisce le necessarie conseguenze della nostra negligenza»

(P. Alvaro Calderon, Prometheus. The Religion of Man, p. 201).

Nel suo One Hundred Years of Modernism, il padre Dominique Bourmaud ha fornito una valutazione preoccupante del modo in cui gli architetti del Vaticano II hanno sconfessato in modo così completo l’enciclica di Pio XII che condannava gli errori che minacciavano la Chiesa, l’ Humani Generis:

«L’Humani Generis fu pubblicata nel 1950. Il 1965 segna la chiusura del Concilio Vaticano II, che mette in dubbio i punti fondamentali riaffermati da Papa Pacelli. Mai prima di allora un’enciclica dogmatica era stata così rapidamente e completamente sconfessata dagli stessi uomini che erano caduti sotto la sua condanna. Come è possibile che la nuova teologia, censurata così solennemente e così definitivamente da Pio XII, in perfetto accordo con la Pascendi di Pio X, sia diventata la teologia ufficiale del Vaticano II e della Chiesa post-conciliare?».

Prima di considerare i vari modi in cui Giovanni XXIII e il suo Concilio hanno rifiutato l’Humani Generis, vale la pena soffermarsi su ciò che i fedeli cattolici durante il pontificato di Pio XII avrebbero pensato riguardo alla possibilità che un futuro papa rifiutasse le verità esposte così chiaramente nell’enciclica del 1950. Se Pio XII aveva ragione ad avvertire dei gravi pericoli posti dagli errori in questione, cosa sarebbe successo se i futuri pastori non solo avessero ignorato gli avvertimenti, ma avessero effettivamente promosso gli errori? Se un tale impensabile disastro potesse verificarsi, sicuramente porterebbe ai dolori che il cardinale Pacelli (il futuro Pio XII) aveva profetizzato negli anni Trenta:

«Sono preoccupato per le confidenze della Vergine alla piccola Lucia di Fatima. Questo insistere da parte della Buona Signora sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio che rappresenta l’alterare la Fede nella sua liturgia, nella sua teologia e nella sua anima… Sento intorno a me che gli innovatori desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i suoi ornamenti e renderla piena di sensi di colpa per il suo passato storico».

Sì, i fedeli cattolici avrebbero visto la prospettiva di alterare la fede come una follia suicida. Se non fosse stato per gli avvertimenti della Madonna di Fatima, un tale disastro sarebbe potuto sembrare impossibile.

Nonostante gli avvertimenti di Fatima, però, molti cattolici credono comprensibilmente che il rifiuto dell’Humani Generis semplicemente non possa accadere perché lo Spirito Santo protegge la Chiesa da qualsiasi passo falso di questo tipo. Di fronte alle realtà che contraddicono questa convinzione, molti cattolici hanno lasciato la Chiesa; altri hanno concluso che non abbiamo avuto più un papa dai tempi di Pio XII; e troppi hanno abbandonato funzionalmente l’uso della ragione determinando che non c’è una vera crisi nella Chiesa.

Ma c’è un’altra strada che ci permette di mantenere intatta la nostra fede e la nostra ragione. Per sessant’anni, tanti cattolici hanno vissuto una tremenda angoscia al pensiero che la promessa di Dio di proteggere la Chiesa fosse diventata nulla con il Vaticano II. Tuttavia, se ci avviciniamo a questo profondo mistero in modo razionale, cercando di trarre il massimo senso dai segni evidenti che Dio ha permesso nella sua amorevole Provvidenza, possiamo vedere che la protezione della Chiesa da parte dello Spirito Santo è stata esercitata rendendo perfettamente chiaro che Giovanni XXIII ha rifiutato tale protezione per il suo Concilio.

Col senno di poi, possiamo riconoscere che fin dal primo giorno del Concilio c’erano già chiari segni che Giovanni XXIII rifiutava fondamentalmente l’Humani Generis di Pio XII e le indispensabili protezioni della Fede in essa contenute. È come se Dio avesse costretto Giovanni XXIII a lasciarci questa inequivocabile conferma che stava rifiutando le protezioni dello Spirito Santo.

Abbandonare le condanne. Come i suoi predecessori, Pio XII si fece strumento dello Spirito Santo condannando gli errori che si oppongono all’immutabile Fede cattolica. Nei paragrafi finali dell’Humani Generis, incaricò i pastori della Chiesa di difendere il loro gregge dagli errori che minacciavano la Fede:

«Per questo motivo, dopo matura riflessione e considerazione, per non venir meno al Nostro sacro dovere, ordiniamo ai Vescovi e ai Superiori Generali degli Ordini e Congregazioni religiose, onerata in maniera gravissima la loro coscienza, di curare con ogni diligenza che opinioni di tal genere non siano sostenute nelle scuole o nelle adunanze e conferenze, né con scritti di qualsiasi genere e nemmeno insegnate, in qualsivoglia maniera, ai chierici o ai fedeli. Gli insegnanti degli Istituti ecclesiastici sappiano che essi non possono esercitare con tranquilla coscienza l’ufficio di insegnare che è stato loro affidato, se non accettano religiosamente le norme che abbiamo stabilite e non le osservano esattamente nell’insegnamento delle loro materie».

Al contrario, nel suo discorso dell’11 ottobre 1962 per l’apertura del Vaticano II, Giovanni XXIII annunciò che il suo Concilio avrebbe adottato un modo completamente nuovo di rispondere agli errori che minacciavano la Chiesa:

«Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita».

Anche se i pericoli per la Fede erano più letali che mai, Giovanni XXIII decise che il suo Concilio non li avrebbe condannati, abbandonando così preventivamente uno dei mezzi principali con cui lo Spirito Santo ha protetto la Chiesa per duemila anni. In questo modo, Giovanni XXIII ha fatto sapere al mondo che stava deliberatamente privando il suo Concilio di questo mezzo vitale per salvaguardare la Fede.

La scelta dei modernisti come esperti del Concilio. Come ha osservato il P. Bourmaud a proposito del rifiuto dell’Humani Generis, gli uomini che hanno lavorato così duramente per rovesciare la grande enciclica di Pio XII sono gli stessi le cui idee sono state condannate dalla stessa. Taylor Marshall ha descritto succintamente questa parodia nel suo Gli infiltrati. Il complotto per distruggere la chiesa dall’interno:

«I periti del Vaticano II erano Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Hans Küng, Henri de Lubac e Yves Congar. Tutti e cinque erano sospettati di modernismo sotto Pio XII».

È interessante notare che l’annotazione del libro Council Daybook, il primo giorno stesso del Concilio, esprimeva quanto fosse notevole che Giovanni XXIII avesse incluso uomini che rappresentavano «tutte le sfumature di opinione»:

«Una galassia di studiosi cattolici ed esperti di teologia come raramente si è riunita in una sola volta si è riunita qui per il Concilio Vaticano II. Questi uomini rappresentano tutte le sfumature di opinione. Contrariamente alle opinioni espresse dagli scettici, essi sono ben lungi dall’essere solo yes-men o timbri di gomma… Gli uomini nominati sono in servizio come “esperti” ufficiali del Concilio, così nominati dal Papa, o in altre posizioni conciliari o come consiglieri personali di vescovi individuali. Tra i teologi più noti a livello internazionale ci sono i padri Yves Congar, O.P., di Strasburgo; Jean Daneilou, S.J., di Parigi; Henri de Lubac, S.J., di Lione, Francia; Karl Rahner, S.J., e Josef Jungmann, S.J., di Innsbruck, Austria; i monsignori Romano Guardini e Michael Schmaus di Monaco di Baviera; i padri Karl Adam and Hans Kung di Tubinga, Germania; Otto Karrer di Lucerna, Svizzera; e Reginald M. Garrigou-Lagrange, O.P., dell’Angelicum, Roma».

Congar, de Lubac, Küng e Rahner erano tanto noti per la loro eterodossia, quanto il P. Garrigou-Lagrange era noto per la sua ortodossia. Nominando i modernisti come esperti per il suo Concilio, Giovanni XXIII non lasciò assolutamente spazio a dubbi: rifiutò l’Humani Generis di Pio XII e tutte le protezioni dello Spirito Santo che essa imponeva ai pastori della Chiesa.

Riformulare la verità cattolica per le esigenze moderne. Pio XII ha anche messo in guardia dal pericolo di cercare di riformulare il dogma cattolico per soddisfare le esigenze moderne:

«Per quanto riguarda la Teologia, certuni intendono ridurre al massimo il significato dei dogmi; liberare lo stesso dogma dal modo di esprimersi, già da tempo usato nella Chiesa, e dai concetti filosofici in vigore presso i dottori cattolici, per ritornare nell’esporre la dottrina cattolica, alle espressioni usate dalla Sacra Scrittura e dai Santi Padri. Essi così sperano che il dogma, spogliato degli elementi estrinseci, come essi dicono, alla divina rivelazione, possa venire con frutto paragonato alle opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dalla Chiesa e in questo modo si possa pian piano arrivare all’assimilazione del dogma con le opinioni dei dissidenti. Inoltre, ridotta in tali condizioni la dottrina cattolica, pensano di aprire cosi la via attraverso la quale arrivare, dando soddisfazione alle odierne necessità… (). […] Per tali ragioni, è massima imprudenza (…) sostituirvi nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe della nuova filosofia, le quali, a somiglianza dell’erba dei campi, oggi vi sono e domani seccano; a questo modo si rende lo stesso dogma simile a una canna agitata dal vento».

Pio XII non metteva in guardia da coloro che avrebbero contraddetto apertamente la dottrina della Chiesa — non era necessario un tale avvertimento perché i nemici della Chiesa usavano metodi molto più sottili e letali. Piuttosto, avvertiva che cercare di riformulare l’insegnamento cattolico abbandonando la terminologia stabilita da tempo dalla Chiesa era «massima imprudenza» e avrebbe reso «lo stesso dogma simile a una canna agitata dal vento».

Come possiamo vedere dalle seguenti parole del discorso di apertura di Giovanni XXIII, egli intendeva che il suo Concilio facesse proprio ciò che Pio XII aveva condannato:

«Occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale».

Gli apologeti di Giovanni XXIII e del suo Concilio enfatizzano la sua affermazione che la dottrina autentica deve essere preservata, e in effetti Giovanni XXIII ha fatto punti simili in altre parti del suo discorso di apertura. Ma i modernisti condannati da Pio XII facevano le stesse affermazioni — cercavano di “ridurre al minimo il significato dei dogmi”, il che significava necessariamente che riconoscevano che la dottrina, riformulata per le esigenze moderne, doveva conservare un nucleo “autentico” della stessa dottrina, ma poteva altrimenti cambiare con i tempi. Questo è esattamente ciò che si evince dalla dichiarazione di Giovanni XXIII sopra riportata, che corrisponde a ciò che Pio XII chiamava «massima imprudenza».

Ancora oggi, i fedeli cattolici possono non apprezzare l’insistenza di Pio XII sul fatto che la verità cattolica deve essere presentata nella sua pienezza, senza alcuna ambiguità. Già nelle prime sessioni del Concilio, tuttavia, i problemi di ambiguità divennero evidenti, spingendo l’arcivescovo Marcel Lefebvre a presentare un intervento il 27 novembre 1962:

«Il suggerimento è questo: che ogni Commissione presenti due documenti, uno più dogmatico, ad uso dei teologi; l’altro di tono più pastorale, ad uso di altri, cattolici, non cattolici o non cristiani».

Sappiamo, naturalmente, che il Concilio ha respinto questo approccio e la spiegazione dell’Arcivescovo Lefebvre sul rifiuto conferma la saggezza cattolica degli avvertimenti di Pio XII:

«L’ambiguità di questo Concilio è stata evidente fin dalle prime sessioni… Questa poteva essere l’occasione per fornire una definizione più chiara del carattere pastorale del Concilio. La proposta, tuttavia, ha incontrato una violenta opposizione: “Il Concilio non è dogmatico ma pastorale; non cerchiamo di definire nuovi dogmi ma di proporre la verità in modo pastorale”. Ai liberali e ai progressisti piace vivere in un clima di ambiguità. L’idea di chiarire lo scopo del Concilio li infastidisce molto».

Anche se l’arcivescovo Lefebvre si oppose fermamente a questo pericoloso orientamento, a quanto pare non aveva ancora compreso il pieno significato del fatto che Giovanni XXIII avesse rifiutato l’Humani Generis di Pio XII e, in ultima analisi, le protezioni dello Spirito Santo. Tuttavia, nella sua prefazione al piccolo libro che raccoglie tutti i suoi interventi sul Vaticano II, Accuso il Concilio, lo vide chiaramente:

«La conclusione è ineluttabile, soprattutto alla luce dell’ampia agitazione che la Chiesa ha vissuto dopo il Concilio Vaticano II. Questo evento distruttivo per la Chiesa cattolica e per tutta la civiltà cristiana non è stato diretto né guidato dallo Spirito Santo».

Sì, questa conclusione che lo Spirito Santo non ha diretto il Concilio di Giovanni XXIII dovrebbe essere ineluttabile, come ha scritto l’arcivescovo Lefebvre. Perché, allora, tanti cattolici apparentemente fedeli insistono assolutamente sul contrario, ancora oggi?

Nel suo libro intervista con con Diane Montagna, Christus Vincit. Il trionfo di Cristo sulle tenebre del nostro tempo, il vescovo Athanasius Schneider ha fornito preziose indicazioni sulla questione correlata dell’infallibilità del Concilio:

«Per me era impossibile pensare che un Concilio o un Papa potessero sbagliare. Implicitamente consideravo ogni parola del Concilio e del Papa come infallibile, o almeno senza errori… Era per me una sorta di “infallibilizzazione” inconscia e totale del Concilio — inconsciamente, non a livello teorico — e di tutti i pronunciamenti dei papi. Mi sentivo a disagio quando c’erano dei critici, e non mi piaceva seguire o studiare i critici perché avevo paura di andare in una direzione che sarebbe stata infedele alla Chiesa e alla mia devozione al Papa. Istintivamente, reprimevo ogni argomentazione ragionevole che potesse, anche solo minimamente, essere una critica ai testi conciliari. Oggi mi rendo conto di aver “spento” la mia ragione. Tuttavia, un tale atteggiamento non è sano e contraddice la tradizione della Chiesa, come osserviamo nei Padri, nei Dottori e nei grandi teologi della Chiesa nel corso di duemila anni».

Se grandi pastori della Chiesa come il vescovo Schneider giungono a questa consapevolezza solo dopo una considerevole preghiera e riflessione, non c’è da stupirsi che tanti fedeli cattolici si arrovellino ancora nell’errata convinzione che lo Spirito Santo abbia protetto il Concilio dall’errore. Quasi certamente, nessuno di noi avrebbe riconosciuto i segni dell’11 ottobre 1962, né tanto meno avrebbe saputo come intervenire. Ciò che conta veramente, però, è che possiamo vederli oggi, quando è ancora più chiaro dai frutti del Vaticano II che lo Spirito Santo non può aver protetto il Concilio.

Sebbene Giovanni XXIII abbia ostacolato la protezione dello Spirito Santo nei confronti del suo Concilio, lo Spirito Santo non ha mai smesso di proteggere la Chiesa. In gran parte, tale protezione consisteva nel permettere che fosse abbondantemente chiaro che il Concilio non beneficiava delle protezioni dello Spirito Santo — come tale, nessun cattolico può seguire le innovazioni del Concilio che si discostano da ciò che la Chiesa ha sempre insegnato.

Ancora più significativamente, la protezione dello Spirito Santo sulla Chiesa si è estesa fino a rendere dolorosamente evidente che gli errori del Concilio hanno causato frutti disastrosi. Questo fatto aggiunge un motivo profondo per evitare gli errori denunciati da Pio XII e dai suoi predecessori, e permette alla vera dottrina della Chiesa di risplendere più brillantemente.

In questo contesto possiamo valutare meglio la disonestà di diversamente fedeli cattolici che difendono con veemenza il Vaticano II e denunciano coloro che hanno messo in discussione i suoi documenti come eterodossi. Quasi certamente, molti più cattolici avrebbero abbandonato le vili riforme del Vaticano II se non fosse che coloro che pretendono di dare “risposte cattoliche” alle pressanti domande del periodo post-conciliare hanno combattuto con le unghie e con i denti contro coloro che hanno insistito nel riconoscere la realtà della crisi attuale. Uomini come Rahner, de Lubac, Congar e Küng hanno costruito la crisi della Chiesa e l’odierna classe di negazionisti della realtà svolge un ruolo inestimabile nel sostenerla.

Rifiutando ostentatamente l’Humani Generis di Pio XII con il suo Concilio, Giovanni XXIII ha reso uno dei più gravi insulti a Dio nella storia dell’umanità. Le conseguenze del Vaticano II sono state la punizione sempre più severa per questo peccato. Grazie a Dio, però, la via del pentimento è anche la via del superamento della malvagità nella Chiesa e nel mondo: dobbiamo tornare alla Fede cattolica immutata e immutabile, che lo Spirito Santo non ha mai smesso di proteggere, e respingere fermamente gli errori derivanti dall’empio Concilio di Giovanni XXIII.

Nostra Signora, debellatrice di tutte le eresie, prega per noi!

Traduzione nostra

(Fonte: The Remnant)